I salumi fanno parte della nostra tradizione, sono comodi da utilizzare, gustosi. Inoltre forniscono proteine di ottima qualità, vitamine, soprattutto del gruppo B, minerali quali ferro e zinco in una forma facile da utilizzare. E la loro composizione è migliorata negli anni (per esempio i nuovi dati Inran, in via di pubblicazione, segnalano una riduzione del contenuto in sodio). Eppure spesso le indicazioni nutrizionali invitano a limitarne il consumo se non addirittura a evitarlo, come nel caso delle raccomandazioni elaborate congiuntamente dall’Istituto americano per la ricerca sul cancro (Aicr) e dal Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (Wcrf). E, allora, come comportarsi?

«In effetti — risponde Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dell’Università di Milano — i dati di cui oggi disponiamo non possono che suggerire una certa cautela nei confronti di questi alimenti, anche se va sottolineato che in molti casi le associazioni osservate fra carni lavorate e aumento del rischio di varie patologie, come diabete mellito, malattia coronarica e anche alcuni tumori, diventano significative quando i consumi sono davvero elevati. Per di più, questi studi provengono spesso da Paesi, come gli USA e il Canada, nei quali con il termine "carne lavorata" si fa riferimento soprattutto a hot dog, carne affumicata, bacon, salsicce, che sono solo in parte assimilabili ai nostri classici salumi». La ricetta della salute: Insalata di fichi e prosciutto croccante

«Inoltre, — prosegue La Vecchia — non si può neppure escludere che il consumo di questi alimenti, più che rappresentare un rischio di per sé, sia invece un indicatore di una dieta e di uno stile di vita non particolarmente sani. In ogni caso, visto che le ipotesi fatte per spiegare le associazioni citate riguardano soprattutto l’elevato contenuto di sale e di grassi di origine animale di questi prodotti, la raccomandazione non può che essere di limitare il consumo di entrambe queste sostanze: sia sotto forma di salumi sia da altre fonti». Ma che cosa dicono le raccomandazioni italiane a questo riguardo? «La prima indicazione — risponde Andrea Ghiselli, ricercatore dell’Inran — riguarda la porzione di consumo, che viene definita, anche dalle Linee guida per una sana alimentazione, in 50 grammi. Una porzione decisamente moderata, equivalente per esempio a 3-4 fette medie di prosciutto. Per quanto concerne invece la frequenza di consumo, le Linee guida italiane, dell’Inran, non danno indicazioni precise, se non quella della moderazione: del resto, di fronte ai dati evidenti relativi alle carni conservate in genere, il principio di precauzione detta legge anche nei confronti dei nostri salumi che, seppure siano tutt’altra cosa rispetto a molti prodotti di altri Paesi, non possono neppure essere assolti, almeno per il momento, mancando evidenze sufficienti». E per chi volesse un’idea, almeno indicativa, sulle frequenza di consumo? Risponde Ghiselli: «Nei modelli alimentari che prevedono le carni conservate, le porzioni vanno da una a tre al massimo alla settimana. In ogni caso, proprio sulla base di quanto detto, tali frequenze non vanno intese come "consigliate" e comunque l’attuale consumo medio di salumi in Italia supera queste indicazioni e ciò vale in particolare per i maschi fra i 10 ed i 18 anni, che ne mangiano quasi una porzione al giorno».

Fonte - CORRIERE DELLA SERA